Metalli pesanti

 

Nell’accezione classica, vengono definiti metalli pesanti gli elementi con peso atomico maggiore di 20 e densità cinque volte superiore a quella dell’acqua, di carattere cationico con diversi stati di ossidazione ed elevata attitudine a formare complessi metallorganici.

La classificazione chimica prende origine dalle caratteristiche chimico-fisiche di ogni elemento, mentre la classificazione biologica è basata sull’essenzialità e/o tossicità del singolo elemento, si sinergie ed antagonismi.

L’essenzialità del metallo pesante è legata alla concentrazione in cui esso viene richiesto nei cicli fisiologici e biochimici degli organismi viventi.

In concentrazioni superiori al fabbisogno nutrizionale, il metallo pesante viene inteso come inquinante.

Concettualmente è diverso il caso del metallo pesante estraneo ai cicli metabolici che rappresenta sempre e comunque un elemento tossico.

A differenza delle sostanze organiche naturali e di sintesi, i metalli pesanti presenti nel suolo non vengono in alcun modo degradati e sono difficilmente dilavabili, non vengono distrutti nel metabolismo degli organismi viventi.

Apportati al suolo, essi si accumulano preferenzialmente nello strato arabile, saldamente legati alla sostanza organica, concreti in ossidi di ferro, alluminio e manganese.

I suoli hanno comunque una dotazione “naturale” di metalli, la cui presenza è riconducibile a naturali processi di degradazione dei substrati geologici, da cui i suoli stessi traggono origine.

Va da sé che l’attività antropica ha rappresentato e rappresenta la fonte primaria di arricchimento della preesistente dotazione “naturale”.

Processi di fallout atmosferico, modalità di gestione del suolo quali ad esempio l’apporto di metalli pesanti in matrici organiche di scarsa qualità, eccessivi interventi antiparassitari con formulati a base metallica, la indispensabile fertilizzazione minerale fosfatica, rappresentano alcune cause di incremento del contenuto di metalli pesanti nel suolo, aumento che tuttavia non ha comportato a tutt’oggi l’insorgenza di significativi fenomeni di inquinamento, se non in limitate aree ed elevato grado di vulnerabilità.

Dal punto di vista analitico, la determinazione del contenuto totale di metalli implica l’adozione di procedure che prevedono non solo la rimozione dei metalli dai siti di legame dei colloidi inorganici, organici e la solubilizzazione degli ossidi, ma anche la liberazione dei cationi facenti parte dei componenti strutturali dei silicati.

I metodi della fusione e quello della digestione in miscele acide (ad esempio, HNO3 - HClO4 – HF o HNO3 – HF ) in teflon-lined bomb permettono di ottenere la completa mineralizzazione dei campioni di suolo, seppure con alcuni svantaggi di tipo operativo ed analitico, quali la pericolosità nell’esecuzione e le perdite difficilmente quantificabili di composti metallici volatili.

La mineralizzazione dei campioni di suolo in estraesti acidi, quali acqua regia previa distruzione della componente organica mediante ossidazione in acqua ossigenata, porta alla solubilizzazione degli ossidi e di altre fasi minerali, ma non della componente silicea.

L’applicazione di questo metodo porta risultati che possono riflettere, con ragionevole approssimazione, il contenuto totale dei metalli nel suolo e, senza dubbio può trovare una valida applicazione ad attendibilità nella quantificazione, in toto di metalli di natura antropogenica in suoli diversi.

Va tenuto presente, tuttavia, che tale protocollo non è applicabile per la determinazione seguendo il protocollo suggerito in precedenza per le peculiarità ed i chimismi propri di questo elemento.

Per tale motivo viene proposta una differente metodologia.